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La bufala della Teoria degli antichi astronauti nei dipinti rupestri africani

Gerardo mi ha domandato se posso fare un post dedicato alla famosa incisione rupestre di Jabbaren chiamata “il gran dio marziano” o “l´astronauta”, quella nella foto per capirci.

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Purtroppo come spesso accade vi è un articolo già scritto su di esso, anche meglio di quanto lo avrei fatto io, che smentisce qualsiasi attinenza tra la teoria degli antichi astronauti e questo petroglifo.

ARTICOLO DI ALBERTO ARECCHI per L’ASSOCIAZIONE CULTURALE LIUTPRAND

Verso la metà degli anni Cinquanta, sulla base delle segnalazioni ricevute dalla guida tuareg Djébrine, Henri Lhote allestì una grande spedizione al massiccio dei Tassili n´Ajjer, nel sud-est algerino, e si fece accompagnare da un gruppo di giovani pittori entusiasti, tra i quali il milanese Gianni Frassati. In due anni di duro lavoro, da quelle rocce fuori del mondo, sotto un cielo azzurro, sempre rischiarato dal sole bruciante, essi ricopiarono meticolosamente, studiarono e catalogarono una grandissima quantità di graffiti e dipinti rupestri. Ne trovarono migliaia, disseminati nei labirinti di pietra di località dai nomi di Séfar, Awanrhet, Jabbaren. In quest´ultima località, a Jabbaren, la guida Djébrine aveva mostrato per la prima volta i dipinti rupestri a Lhote, nel 1938.
Alcuni di questi graffiti fanno parte del periodo artistico “delle teste tonde” che si colloca quindi intorno a 6000 anni prima della nostra era. Il nome attribuito al periodo deriva dal modo caratteristico di rappresentare le figure umane, con la testa costituita da un tondo vuoto. In questo periodo sono sempre raffigurati gli animali che oggi sono tipici dell´Africa Nera, ma con dimensioni ridotte, e compaiono figure umane, singole o in gruppo, in diversi atteggiamenti, nonché mostri e giganti. La composizione diviene sempre più complessa ed esprime sicuramente intenti magici e religiosi. In questo periodo la produzione artistica si esprime sia con graffiti sia con opere dipinte, ed è geograficamente limitata al Tassili n´Ajjer (Algeria) e all´Akakus (Libia).

Tassili N'Ajjer

Secondo i fautori delle teorie delle influenze aliene, il periodo delle teste tonde sarebbe l´epoca degli sbarchi di visitatori da altri mondi e le teste tonde sarebbero primitive rappresentazioni di caschi spaziali, a Séfar e a Jabbaren, sui monti Tassili, alcune figure in particolare, datate dagli esperti intorno all´anno 5000 a.C., sembrano indossare un casco globulare, simile a quello dei palombari, tanto che lo stesso scopritore dei dipinti, l´archeologo francese Henri Lhote, battezzò la più grande “il gran dio marziano” o “l´astronauta”. Ma perché mai un astronauta dovrebbe indossare un elaborato casco e per il resto essere completamente nudo? È assai più verosimile, sosteneva Lhote, che si tratti d´indigeni con maschere rituali. Altri commentatori invece, sempre attratti dalle curiosità di difficile spiegazione, perpetuano la favola dell´extraterrestre. I fautori della presenza aliena rilevano anche diverse figure che sembrano fluttuare nel vuoto, come in assenza di gravità. Figure che gli studiosi di cultura sciamanica tendono ad attribuire all´estasi derivata dall´uso di sostanze allucinogene e che facilmente, da un punto di vista puramente artistico, potremmo assimilare alle “danzatrici” di Matisse o ad un quadro di Chagall.
Potrebbe bastare, in questo come in altri casi, un piccolo sforzo di documentazione per risolvere la questione in modo corretto e fondato. Nell´interessantissima raccolta fotografica intitolata “1900. L´Afrique découvre l´Europe“, Eric Baschet riporta la sequenza d´un funerale, fotografata nella regione del lago Ciad, negli anni intorno al 1920 (p. 64-65). La didascalia è la seguente: “Un uomo è morto. Il cadavere è avvolto con fasce di cotone, legato con strisce di cuoio bovino, rivestito d´una tunica. Poi viene fatto scivolare in una stretta tomba e viene poi sepolto in posizione seduta, con la testa coperta da una grande giara di terracotta”.

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Osserviamo le prime foto della sequenza e non possiamo fare a meno di constatare che il trattamento rituale, riservato a quel morto dagli eredi degli antichi abitanti di Jabbaren, emigrati alcune migliaia di chilometri più a sud, addobba il morto esattamente come l´immagine che ottomila anni fa era stata dipinta sulle montagne sahariane, sino a dargli l´apparenza di uno “scafandro spaziale”, con il casco rotondo sulla testa. Si tratta della preparazione non per un viaggio spaziale, ma per un viaggio in un mondo molto più remoto, quell´aldilà che tanto ha affascinato e  tuttora  affascina           l´ansia di mistero dell´uomo antico e moderno, da ben prima dell´antico Egitto sino ai giorni nostri.

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BIOGRAFIA ALBERTO ARECCHI 
SITO LIUTPRAND.IT 
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